Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!
È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge d’Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.
Chiedete pace per Gerusalemme:
vivano sicuri quelli che ti amano;
sia pace nelle tue mura,
sicurezza nei tuoi palazzi.
Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: «Su di te sia pace!».
Per la casa del Signore nostro Dio,
chiederò per te il bene.
Avvento vuol dire venuta e vuol dire attesa. Il Signore è già venuto, nel mistero dell’Incarnazione, ma deve ancora venire. C’è in noi uno spazio esistenziale vuoto della sua presenza: «venne fra i suoi, / e i suoi non l’hanno accolto» (Gv 1,11). Gesù ancora «sta alla porta e bussa» (Cfr Ap 3,20). Saprà il nostro cuore aprirgli la porta?
La nostra è un’attesa vigilante e orante, dove si uniscono le preghiere di nostalgia, di invocazione e di speranza. L’Avvento è un tempo forte dell’anno liturgico, ma è contemporaneamente la connotazione di tutta la nostra vita. La nostra vita è un Avvento. Gesù è “Colui che viene” (Cfr Ap 1,8), viene sempre, non finisce mai di venire.
Noi desideriamo la sua venuta mentre prendiamo coscienza del vuoto di Vangelo nella nostra esistenza: Gesù è assente, non perché vuole essere assente, ma perché noi lo abbiamo rifiutato. A Maria di Magdala Gesù chiede: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» (Gv 20,15). E lei, agli angeli aveva detto: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto» (Gv 20,13).
Anche noi possiamo dire: hanno portato via il mio Signore dalla nostra società scristianizzata. E io lo cerco, lo cerco affannosamente, appassionatamente. Lo cerco e piango per la sua dolorosa assenza.
L’Avvento è una ricerca profonda di Cristo, è una invocazione struggente della sua venuta: con i primi cristiani, anche noi invochiamo: «Vieni, Signore Gesù!» (Ap 22,20).
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