Blog Religioso

Questo blog è rivolto a tutti quelli che hanno fame e sete di Dio



martedì 19 aprile 2016

Discernere la chiamata di Dio

Padre, come si fa a  capire se un ragazzo ha davvero una vocazione?

“Ci sono alcune fasi importanti nella pastorale giovanile vocazionale. La prima fase, che secondo me è la più difficile, quella più difficile per tutti, è contattare i giovani, perché sono davvero un po’ lontani dalla Chiesa. E per questo primo approccio bisogna aiutare le congregazioni, i parroci. Mi rendo conto che molte congregazioni di religiosi non riescono a risolvere questo punto. Se ci aspettiamo che i giovani bussino alla porta, aspettiamo invano, sarebbe chiedere allo Spirito Santo di fare un grandissimo miracolo.”


Il problema è quindi dove e come incontrare i giovani?


 “Io cerco di incontrarli in ambienti propizi, come gruppi di preghiera, in particolare quelli mariani  che hanno una forte spiritualità. Ho visto che in questi ambienti si possono trovare quei giovani che, o per una conversione o per un cammino più lungo, sono più aperti a ricercare la volontà di Dio. E poi ci sono anche gli oratori, soprattutto al nord Italia. E comunque dipende molto dai sacerdoti che sono purtroppo sempre meno. E poi ci sono i gruppi legati ai vari movimenti, dai focolarini ai neocatecumenali. Insomma tutti gli ambiti che propongono una vita cristiana. E nelle parrocchie dove c’è una buona testimonianza “siamo a posto”. Per fortuna ci sono dei bravissimi sacerdoti. Io giro tutta Italia e faccio 90 mila chilometri l’anno. Dove c’è un ambiente favorevole, un ambiente di preghiera, la vocazione fiorisce. Certo il seme della vocazione lo mette il Signore, però il seme deve essere coltivato. Quindi l’esempio di sacerdoti e religiosi è fondamentale.”


Padre, ma come si può definire una vocazione?


“Partiamo dal fatto che la vocazione non è una scelta, ma è una risposta. La chiamata viene da Dio, io scelgo di rispondere. Da qui ho tracciato un metodo costruito poco a poco camminando con i ragazzi, incontrando tante realtà. A volte incontro un ragazzo che mi dice: “ Padre Giuseppe sento che il Signore mi sta chiamando, voglio fare un cammino spirituale per capire la volontà di Dio, voglio chiarire”. A volte io vedo già che c’è la chiamata, ma loro ancora no. Allora cerco di accompagnarli, li aiuto ad arrivarci.”


Allora ci spieghi quali sono i punti del “metodo”.


“Per prima cosa bisogna creare un clima di amicizia, in cui i ragazzi vedono l’interesse al loro bene, l’amicizia e la fiducia sono fondamentali. Ma non in modo superficiale o cameratesco, non serve andare a prendere una birra insieme. Piuttosto vado con loro a recitare un rosario in un santuario particolare.”


E poi?


“E poi la direzione spirituale costante. Questo è un punto difficile. Alcuni giovani mi dicono  che si incontrano ogni due, tre mesi con il loro direttore spirituale. Troppo poco. Magari meglio ogni due tre settimane. E poi dipende anche dall’età.”


Fate anche esperienza di comunità?


“Certo. Servono momenti conviviali significativi. Ad esempio un fine settimana in una comunità. Nel nostro noviziato ci sono 28 ragazzi dai 18 ai 30 anni e quindi è facile creare una bella atmosfera. Certo nelle comunità anziane è ben più difficile. Così posso anche far capire ai giovani la bellezza di questa vita comunitaria, e poi i giovani attirano giovani. Così si lavora in gruppo, e anche le cose quotidiane più semplici, dalla cucina alla lavanderia, alla preghiera comune, sono esempi. Io dico sempre: falli entrare in casa e falli sentire a casa loro.”


Un metodo che può essere “esportato“ facilmente?


“A volte in alcune comunità però manca un gruppo di giovani suore o sacerdoti che si dedichino al discernimento vocazionale. Non c’è una vera accoglienza, semmai si passa un periodo in una comunità, ma senza nessuno che si occupa dei ragazzi. Io cerco invece di far fare un’esperienza significativa di comunità, in ogni parte della vita, dalla liturgia allo sport. E alla fine della giornata i giovani che magari normalmente vivono delle giornate un po’ vuote, invece si ritrovano a fare tanto in una giornata sola. Vedono sorrisi, incontrano e parlano. Allora magari chi ancora non pensa alla vocazione ha degli elementi oggettivi su cui riflettere. Riflessioni che poi ritrovo negli incontri per la direzione spirituale. E su questo dialogo si costruisce. Poi ci sono dei  momenti più intensi, più lunghi come le vacanze estive o a Natale, Pasqua. In tre o quattro giorni si imposta un programma più completo.”


E come si arriva ad un corso di discernimento vocazionale vero e proprio, per capire la volontà di Dio nella propria vita, se si è chiamati ad una vita matrimoniale o di consacrazione?


“Normalmente una vocazione può maturare in un paio d’anni. Nel primo anno metto le basi e nel secondo anno arrivo ad una conclusione, non si rimane in discernimento per anni ed anni. In estate faccio un corso che dura un mese per vedere e per agire, si deve arrivare ad una decisione: entrare o no in seminario. Seguendo tre principi: conoscere, amare, seguire. Tutto è impostato su questo. Nessuno ama chi non conosce, nessuno segue chi non ama. Tutto riferito a Gesù. Naturalmente la proposta del corso vocazionale la faccio ai ragazzi che durante l’anno mi hanno fatto capire che stanno arrivando ad una decisione. Se no propongo delle alternative, magari una esperienza missionaria. Cerco di capire quando sono davvero pronti per evitare anche delusioni e illusioni.”


E l’apostolato, la pastorale sul campo?


“Naturalmente  si fanno delle esperienze di apostolato che aprono gli orizzonti. Per esempio facciamo la raccolta alimentare e diverse attività caritative.”


Ma cosa frena maggiormente i giovani a rispondere alla vocazione?


“Uno scoglio che è davvero impensato è l’accettazione delle famiglie. Non tutti riescono a parlarne ai genitori. Ricevo delle e-mail dai ragazzi che spesso mi chiedono: come faccio a dirlo a casa perché i miei non credono? E il dramma che ha un giovane di vivere in una famiglia in cui la vocazione non viene accettata è forte.

C’è poi il problema della fragilità dei giovani che hanno una insicurezza di base totale. Per questo chiedono sempre dei segni, delle certezze. Del resto in un mondo in cui regna l’insicurezza dal lavoro alla famiglia che non è più stabile, i ragazzi hanno molta paura di sbagliare  e cercano sempre i segni del cammino.

Se la vocazione è una risposta, e non una scelta, il primo interessato a farci capire la domanda e ad aiutarci a dare la risposta, è proprio il Signore. Ho già scritto un libro che si intitola Mandami una mail, e sto pensando di farne un altro A modo suo, in cui vorrei analizzare la chiamata vocazionale da un punto di vista delle virtù teologali. Soprattutto la Speranza, per dire ai ragazzi, che è nel Signore la mia Speranza.

E c’è poi da superare l’idea che non serve un metodo per il discernimento, che la chiarezza arriverà prima o poi. Io invece dico che bisogna fissare delle scadenze. Un po’ come si fa per un piano di studio. Bisogna essere concreti. A volte sacerdoti e suore non sanno essere concreti.”

Ma quale è il sistema migliore per iniziare un vero cammino?

“Sempre partire da una buona guida spirituale che sappia cosa fare. Io ho avuto la Grazia di poter organizzare un percorso con l’aiuto di molti miei confratelli, molto concreto.

In un accompagnamento spirituale la prima preoccupazione è imparare a pregare per capire cosa vuole dire il Signore, quindi Adorazione Eucaristica e Rosario, molto semplicemente, e vita sacramentale.

Per me poi è molto importante la conoscenza personale. E accompagno anche i ragazzi che hanno seguito la vocazione del matrimonio. Ho sposato molti di loro e li accompagno in un cammino cristiano. Ed ho un incontro mensile con le coppie che seguo. Del resto è da una famiglia cristiana che nascono belle vocazioni.”

Sul sito che padre Giuseppe gestisce con sensibilità e semplicità, ci sono anche le “pillole di discernimento”, i video, le testimonianze, i racconti, le proposte. Manca solo una frase che però padre Gamelli ama ricordare: “Ho fatto un contratto con Maria. Ho detto alla Madonna: io sono un asino che non sa far niente,  ma se arriviamo a 100 sacerdoti,  poi mi farò un po’ di Purgatorio, però poi mi fai uno sconto, mi mandi in Cielo perché avrò finito di lavorare.”
Il “metodo” è fatto proprio di slancio e fiducia.   


                      

Nessun commento:

Posta un commento