Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza». Il buon pastore chiama le sue pecore, ciascuna per nome. Non l'anonimato del gregge, ma nella sua bocca il mio nome proprio, il nome dell'affetto, dell'unicità, dell'intimità, pronunciato come nessun altro sa fare. Sa che il mio nome è «creatura che ha bisogno». Ad esso lui sa e vuole rispondere. E le conduce fuori. Il nostro non è un Dio dei recinti chiusi ma degli spazi aperti, pastore di libertà e di fiducia. E cammina davanti ad esse. Non un pastore di retroguardie, ma una guida che apre cammini e inventa strade, è davanti e non alle spalle. Non un pastore che pungola, incalza, rimprovera per farsi seguire ma uno che precede, e seduce con il suo andare, affascina con il suo esempio: pastore di futuro. Io sono la porta, Cristo è passaggio, apertura, porta spalancata che si apre sulla terra dell'amore leale, più forte della morte (chi entra attraverso di me si troverà in salvo); più forte di tutte le prigioni (potrà entrare e uscire), dove si placa tutta la fame e la sete della storia (troverà pascolo). E poi la conclusione: Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. Non solo la vita necessaria, non solo la vita indispensabile, non solo quel respiro, quel minimo senza il quale la vita non è vita, ma la vita esuberante, magnifica, eccessiva, vita che di rompe gli argini e sconfina, uno scialo di vita. Così è nella Bibbia: manna non per un giorno ma per quarant'anni nel deserto, pane per cinquemila persone, carezza per i bambini, pelle di primavera per dieci lebbrosi, pietra rotolata via per Lazzaro, cento fratelli per chi ha lasciato la casa, perdono per settanta volte sette, vaso di nardo per 300 denari sui piedi di Gesù In una piccola parola è sintetizzato ciò che oppone Gesù, il pastore vero, a tutti gli altri, ciò che rende incompatibili il pastore e il ladro. La parola immensa e breve è «vita». Cuore del Vangelo. Parola indimenticabile. Vocazione di Dio e vocazione dell'uomo. «Non ci interessa un divino che non faccia anche fiorire l'umano. Un Dio cui non corrisponda il rigoglio dell'umano non merita che ad esso ci dedichiamo». Pienezza dell'umano è il divino in noi, diventare figli di Dio: i quali non da sangue, non da carne, ma da Dio sono nati (cfr. Gv 1, 13). Diventare consapevoli di ciò che già siamo, figli, e non c'è parola che abbia più vita dentro; realizzarlo in pienezza. E questo significa diventare anch'io pastore di vita per il piccolo, per il pur minimo gregge (la mia famiglia, la mia comunità, gli amici, cento persone con nome e volto) che Lui ha affidato alle mie cure. Vocazione di Cristo e dell'uomo è di essere nella vita datori di vita. (Letture: Atti 2,14.36-41; Salmo 22; 1 Pietro 2,20b-25; Giovanni 10,1-10)
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