Blog Religioso

Questo blog è rivolto a tutti quelli che hanno fame e sete di Dio



mercoledì 11 maggio 2016

PENTECOSTE

Alle origini della festa

Presso gli Ebrei la festa della Pentecoste era inizialmente una gioiosa festa agricola chiamata “festa della mietitura” (Es 23,16) o “festa dei primi frutti” (Nm 28,26). Si celebrava il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua e indicava l’inizio della mietitura del grano. 
In altri passi era detta anche “festa dello Shavuot, delle Settimane” (Es 34, 22; Dt 16,10; 2Cr 8,13), poiché cadeva sette settimane dopo la Pasqua. Le sette settimane corrispondono al periodo dell’Omer, un periodo di lutto, memoria delle disgrazie accadute al popolo di Israele che terminava con la festa di Lag Ba Omer. Nella lingua greca, utilizzata dagli Ebrei che non 
abitavano in Palestina, la festa dello Shavuot veniva tradotta con la parola greca Pentecoste che significa appunto 50ª giornata. Il termine Pentecoste, riferendosi alla “festa delle Settimane”, è citato in Tobia 2,1 e 2 Maccabei, 12,31-32.

Un senso nuovo alla festa della Pentecoste


Se lo scopo primitivo di questa festa era il ringraziamento a Dio per i frutti della terra, terminati i tempi biblici originari, gli Ebrei, a poco a poco le diedero un significato nuovo. Nel giorno di Pentecoste s’iniziò a commemorare il dono della Legge sul Sinai. Questo giorno, descritto come «il giorno del dono della Legge» (Maimonide More Neb., III, 41) richiedeva che gli Ebrei passassero la vigilia della festa leggendo la Legge. Per gli Israeliti della diaspora questa festa poteva durare anche due giorni a causa dell’incertezza con cui calcolavano in che giorno iniziasse il nuovo mese nella terra d’Israele.
In ogni caso, la Pentecoste era una delle tre festività, dette Shalosh regalim, feste del pellegrinaggio a Gerusalemme.
La festa comportava infatti un pellegrinaggio di tutti gli uomini a Gerusalemme, l’astensione totale da qualsiasi lavoro, un’adunanza sacra (‘asereth o ‘asartha) e particolari sacrifici. L’offerta sacrificale consisteva in due forme di pane lievitato prodotto con due decimi di efa (pari a circa 8 chili), oppure farina prodotta con il nuovo grano (Lv 23,17; Es 24,22). Il pane lievitato però non poteva essere posto sopra l’altare dei sacrifici (Lv 2,11) ed era solamente presentato (cioè «sollevato»); un pane veniva poi dato al Sommo Sacerdote, mentre l’altro veniva diviso tra gli altri sacerdoti ma dovevano mangiarlo dentro i sacri recinti.

La  Pentecoste cristiana

Come per la Pasqua, un gran numero di Ebrei provenienti da tutte le parti del mondo raggiungevano Gerusalemme per partecipare alla festa. Ed è in questo contesto che si colloca la prima Pentecoste cristiana in cui si celebra la discesa dello Spirito Santo che raduna nella Chiesa tutti i popoli. L’azione dello Spirito si contrappone alla babele dei popoli prodotta dalla superbia e dall’orgoglio umano. Nella Chiesa, per puro dono divino, l’uomo ritrova l’unità in se stesso e con gli altri. Il Risorto, che vive nell’uomo che lo accoglie, ricompone nell’armonia la dispersione causata dal peccato e pone nella storia il segno della creazione nuova che riprende il suo dominio sulla dissoluzione introdotta dall’antica disobbedienza.
Lo Spirito Santo con la sua discesa sugli Apostoli e Maria ha completato l’opera dell’Incarnazione di Dio: al momento della sua prima discesa, lo Spirito Santo aveva compiuto nella santa Vergine l’Incarnazione del Verbo, permettendo che il Verbo divenisse, nel suo corpo, il Dio-Uomo, per esserlo nell’eternità. Al momento della sua seconda discesa, durante la Pentecoste, lo Spirito Santo discende per dimorare nel suo corpo che è la Chiesa. 
Maria è presente poiché è l’unica che possa certificare la presenza e l’azione dello Spirito, in quanto lei è la sola che ne ha già fatto esperienza, avendo, per opera di Spirito Santo, generato al mondo il Verbo consostanziale al Padre.
Gli Apostoli sono rivestiti di Spirito Santo e annunciano al mondo quel Verbo eterno, crocifisso e risorto che Maria ha generato nella carne. Essi proclamano, lei convalida. Loro annunciano, a lei èstato annunciato. Essi diffondo la Parola di Vita, lei ha dato vita alla Parola.

Una perenne Pentecoste

Tra i due avvenimenti dell’Incarnazione e della Pentecoste si svolge tutta l’economia salvifica, una e indivisibile: lo Spirito Santo discende sull’intero corpo della Chiesa per dimorarvi completamente nella vita ecclesiale. Come nel corpo dell’uomo niente può esistervi senza l’anima, così nel corpo della Chiesa niente potrebbe avere esistenza senza lo Spirito Santo che è l’anima della Chiesa. In verità, la Chiesa si trova costantemente nel «giorno dello Spirito Santo»: lo Spirito Santo è infatti perennemente presente in essa, in quanto forza vivificante e immortale, ed è Lui a discendere continuamente sui cristiani: esso discende attraverso i Sacramenti, attraverso la preghiera come attraverso ogni sospiro di nostalgia per Cristo.

Nel giorno della Pentecoste, lo Spirito scende per restare. Egli è il Dono divino per eccellenza, e come ogni dono del Padre non può venir ritirato poiché Dio è fedele. Per questo, permanentemente Egli risiede nella Chiesa e viene continuamente manifestato dai segni che pongono nel mondo i successori di coloro sui quali Egli per primo discese. È lo Spirito che consente il trasmettersi dei segni certi della salvezza. È lo Spirito che obbliga i discepoli del Risorto a comunicare questi segni dell’amore invincibile di Dio. Per questa ragione i segni dello Spirito sono trasmissibili nei secoli di generazione in generazione. Ed è ancora lo Spirito che mediante questi segni guida i discepoli del Risorto verso la Verità tutta intera, verità che è la Vita eterna dell’uomo.

Con la Pentecoste s’apre il tempo della santificazione dell’uomo che mediante l’azione vivificante dello Spirito viene reso conforme a Cristo lo Sposo-Vittoria sulla morte.
Lo Spirito riveste di Sé l’uomo, ma non per Sé. Lo offre a Cristo affinché compiendo in lui il Suo trionfo immortale, lo renda, per partecipazione gratuita ed infinita, figlio in Lui che è il Figlio consostanziale al Padre.

Come dopo la santificazione, lo Spirito non aveva trattenuto l’uomo ma l’aveva donato al Verbo perché lo cristificasse, così il Cristo non trattiene per sé l’uomo che ha amato fino a dare la Sua vita per lui, ma lo offre al Padre di ogni gloria e di ogni onore, perché lo abbracci con il suo amore, lo rivesta del vestito nuovo della dignità filiale e gli metta al dito l’anello dell’eterno potere della vita che finalmente ha sconfitto l’avversario, quello vero, l’unico: la morte.
La santificazione dell’uomo avviene quando lo Spirito attua, nel tempo della Storia, la chiamata dell’uomo alla pienezza della sua realizzazione. È Lui che seduce l’uomo con la sua Grazia, instilla in lui la nostalgia della bellezza, per lui fa squillare la tromba della conversione affinché destandosi dal sonno del peccato si allontani dalla via della morte e, prenda coscienza dell’unicità del suo essere e della sua dignità creaturale.

La cristificazione si compie quando l’uomo attratto dalla bontà del Verbo si siede alla mensa nuziale dove Cristo si offre in cibo perché l’uomo da mortale diventi immortale. 
Con la definitiva offerta dell’uomo al Padre realizzata da Cristo, si compie la trinitarizzazione dell’uomo che investito dallo splendore della gloria può solo esclamare: Che cos’è l’uomo perché ti ricordi di lui?

giovedì 28 aprile 2016

Siate misericordiosi

 Quando noi diciamo che Dio è misericordioso, quasi sempre pensiamo ad un rapporto esclusivo, unilaterale, discendente: da Dio verso di noi. Noi pecchiamo e Lui ci perdona. Noi abbandoniamo la sua Casa e Lui ci attende. Noi bussiamo alla sua porta e Lui ci apre. Noi chiediamo e Lui ci dona. Ci dimentichiamo che noi siamo stati creati ad immagine e a somiglianza della sua carità, della sua misericordia, del suo amore.

La misericordia ricevuta deve trasformarsi all’istante in misericordia offerta, donata, elargita. La carità con la quale il Signore copre i nostri peccati deve divenire subito carità con la quale noi copriamo i peccati dei fratelli. L’amore con il quale Dio ci eleva all’altissima dignità di farci suoi figli di adozione e partecipi della sua divina natura, deve essere prontamente messo in campo per dare dignità umana, di vera fratellanza ad ogni altro uomo, di qualsiasi razza o nazione, di qualsiasi lingua o tribù.

La misericordia discendente deve esse essere misericordia ascendente. La carità ricevuta dovrà farsi perennemente carità donata. L’amore che ci trasforma dovrà divenire amore trasformante ogni uomo. Senza questa reciprocità non siamo nella misericordia, perché non viviamo ad immagine e a somiglianza del Padre nostro celeste. Accogliamo, ma non doniamo. Riceviamo, ma non elargiamo. Ci lasciamo avvolgere, ma non avvogliamo. Chiediamo perdono, ma non lo doniamo. Vogliamo essere accolti da Dio, ma non accogliamo i fratelli.

Non solo Dio ci ha creati a sua immagine e somiglianza, ci ha anche costituiti nel mondo per fare le sue veci. Per essere noi sempre creatori al suo posto, misericordiosi al suo posto, pieni di carità al suo posto, elargitori di ogni bene al suo posto. È come se ci avesse fatto se stesso per rivelare ad ogni creatura tutto se stesso. Se noi diciamo che Dio è misericordioso, dobbiamo storicamente manifestare, rivelare la sua misericordia. La si può rivelare in un solo modo: non dicendola, non chiedendola, non desiderandola, ma donandola noi, elargendola noi, offrendola noi, creandola noi in ogni cuore. Siamo noi i creatori della misericordia divina nel mondo, sulla terra.

Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

La prima misericordia è nell’esercizio del non giudizio, della non condanna, del perdono sempre. Chi giudica, chi condanna, chi non perdona si esclude della misericordia di Dio. Da Lui sarà giudicato, condannato, non perdonato. Il Dio spietato che Lui ha mostrato è lo stesso Dio dinanzi al quale lui sempre verrà a trovarsi. È come se ognuno di noi si dovesse “creare” se stesso. Chi crea se stesso – sempre per grazia del Signore e per l’azione del suo Santo Spirito – persona misericordiosa, pietosa, pronta al perdono, ricca di grazia e di bontà, avrà dinanzi a sé sempre un Dio misericordioso, pietoso, ricco di grazia e di bontà. Avrà un Dio che lo perdonerà, lo amerà, non lo giudicherà. Lo rivestirà della sua eternità beata.

Chi invece avrà “creato” se stesso persona spietata, senza alcuna misericordia, avrà dinanzi a sé un Dio senza alcuna misericordia. Dio è fedele ad ogni sua Parola. Lo ha detto e lo manterrà per l’eternità. Ecco perché Gesù ci invita ad essere larghi, molto larghi nella misericordia. Se noi siamo larghi, Dio sarà larghissimo. Lui verserà nel nostro grembo una misura buona, pigiata, colma e traboccante. Lui moltiplicherà sempre quello che noi diamo ai nostri fratelli. Non solo lo moltiplica, lo centuplica, addirittura lo rende di una misura eterna, dal momento che per la nostra misericordia ci dona il suo regno eterno, la sua vita eterna, il suo Paradiso, ci dona se stesso, ci dona il Figlio e lo Spirito Santo. Tutto ci dona Dio, se noi siamo misericordiosi verso i nostri fratelli. Un atto di misericordia ci libera dalla morte e ci dona Dio, tutto Dio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci ricchi di misericordia.
 
 
 
 

martedì 19 aprile 2016

Discernere la chiamata di Dio

Padre, come si fa a  capire se un ragazzo ha davvero una vocazione?

“Ci sono alcune fasi importanti nella pastorale giovanile vocazionale. La prima fase, che secondo me è la più difficile, quella più difficile per tutti, è contattare i giovani, perché sono davvero un po’ lontani dalla Chiesa. E per questo primo approccio bisogna aiutare le congregazioni, i parroci. Mi rendo conto che molte congregazioni di religiosi non riescono a risolvere questo punto. Se ci aspettiamo che i giovani bussino alla porta, aspettiamo invano, sarebbe chiedere allo Spirito Santo di fare un grandissimo miracolo.”


Il problema è quindi dove e come incontrare i giovani?


 “Io cerco di incontrarli in ambienti propizi, come gruppi di preghiera, in particolare quelli mariani  che hanno una forte spiritualità. Ho visto che in questi ambienti si possono trovare quei giovani che, o per una conversione o per un cammino più lungo, sono più aperti a ricercare la volontà di Dio. E poi ci sono anche gli oratori, soprattutto al nord Italia. E comunque dipende molto dai sacerdoti che sono purtroppo sempre meno. E poi ci sono i gruppi legati ai vari movimenti, dai focolarini ai neocatecumenali. Insomma tutti gli ambiti che propongono una vita cristiana. E nelle parrocchie dove c’è una buona testimonianza “siamo a posto”. Per fortuna ci sono dei bravissimi sacerdoti. Io giro tutta Italia e faccio 90 mila chilometri l’anno. Dove c’è un ambiente favorevole, un ambiente di preghiera, la vocazione fiorisce. Certo il seme della vocazione lo mette il Signore, però il seme deve essere coltivato. Quindi l’esempio di sacerdoti e religiosi è fondamentale.”


Padre, ma come si può definire una vocazione?


“Partiamo dal fatto che la vocazione non è una scelta, ma è una risposta. La chiamata viene da Dio, io scelgo di rispondere. Da qui ho tracciato un metodo costruito poco a poco camminando con i ragazzi, incontrando tante realtà. A volte incontro un ragazzo che mi dice: “ Padre Giuseppe sento che il Signore mi sta chiamando, voglio fare un cammino spirituale per capire la volontà di Dio, voglio chiarire”. A volte io vedo già che c’è la chiamata, ma loro ancora no. Allora cerco di accompagnarli, li aiuto ad arrivarci.”


Allora ci spieghi quali sono i punti del “metodo”.


“Per prima cosa bisogna creare un clima di amicizia, in cui i ragazzi vedono l’interesse al loro bene, l’amicizia e la fiducia sono fondamentali. Ma non in modo superficiale o cameratesco, non serve andare a prendere una birra insieme. Piuttosto vado con loro a recitare un rosario in un santuario particolare.”


E poi?


“E poi la direzione spirituale costante. Questo è un punto difficile. Alcuni giovani mi dicono  che si incontrano ogni due, tre mesi con il loro direttore spirituale. Troppo poco. Magari meglio ogni due tre settimane. E poi dipende anche dall’età.”


Fate anche esperienza di comunità?


“Certo. Servono momenti conviviali significativi. Ad esempio un fine settimana in una comunità. Nel nostro noviziato ci sono 28 ragazzi dai 18 ai 30 anni e quindi è facile creare una bella atmosfera. Certo nelle comunità anziane è ben più difficile. Così posso anche far capire ai giovani la bellezza di questa vita comunitaria, e poi i giovani attirano giovani. Così si lavora in gruppo, e anche le cose quotidiane più semplici, dalla cucina alla lavanderia, alla preghiera comune, sono esempi. Io dico sempre: falli entrare in casa e falli sentire a casa loro.”


Un metodo che può essere “esportato“ facilmente?


“A volte in alcune comunità però manca un gruppo di giovani suore o sacerdoti che si dedichino al discernimento vocazionale. Non c’è una vera accoglienza, semmai si passa un periodo in una comunità, ma senza nessuno che si occupa dei ragazzi. Io cerco invece di far fare un’esperienza significativa di comunità, in ogni parte della vita, dalla liturgia allo sport. E alla fine della giornata i giovani che magari normalmente vivono delle giornate un po’ vuote, invece si ritrovano a fare tanto in una giornata sola. Vedono sorrisi, incontrano e parlano. Allora magari chi ancora non pensa alla vocazione ha degli elementi oggettivi su cui riflettere. Riflessioni che poi ritrovo negli incontri per la direzione spirituale. E su questo dialogo si costruisce. Poi ci sono dei  momenti più intensi, più lunghi come le vacanze estive o a Natale, Pasqua. In tre o quattro giorni si imposta un programma più completo.”


E come si arriva ad un corso di discernimento vocazionale vero e proprio, per capire la volontà di Dio nella propria vita, se si è chiamati ad una vita matrimoniale o di consacrazione?


“Normalmente una vocazione può maturare in un paio d’anni. Nel primo anno metto le basi e nel secondo anno arrivo ad una conclusione, non si rimane in discernimento per anni ed anni. In estate faccio un corso che dura un mese per vedere e per agire, si deve arrivare ad una decisione: entrare o no in seminario. Seguendo tre principi: conoscere, amare, seguire. Tutto è impostato su questo. Nessuno ama chi non conosce, nessuno segue chi non ama. Tutto riferito a Gesù. Naturalmente la proposta del corso vocazionale la faccio ai ragazzi che durante l’anno mi hanno fatto capire che stanno arrivando ad una decisione. Se no propongo delle alternative, magari una esperienza missionaria. Cerco di capire quando sono davvero pronti per evitare anche delusioni e illusioni.”


E l’apostolato, la pastorale sul campo?


“Naturalmente  si fanno delle esperienze di apostolato che aprono gli orizzonti. Per esempio facciamo la raccolta alimentare e diverse attività caritative.”


Ma cosa frena maggiormente i giovani a rispondere alla vocazione?


“Uno scoglio che è davvero impensato è l’accettazione delle famiglie. Non tutti riescono a parlarne ai genitori. Ricevo delle e-mail dai ragazzi che spesso mi chiedono: come faccio a dirlo a casa perché i miei non credono? E il dramma che ha un giovane di vivere in una famiglia in cui la vocazione non viene accettata è forte.

C’è poi il problema della fragilità dei giovani che hanno una insicurezza di base totale. Per questo chiedono sempre dei segni, delle certezze. Del resto in un mondo in cui regna l’insicurezza dal lavoro alla famiglia che non è più stabile, i ragazzi hanno molta paura di sbagliare  e cercano sempre i segni del cammino.

Se la vocazione è una risposta, e non una scelta, il primo interessato a farci capire la domanda e ad aiutarci a dare la risposta, è proprio il Signore. Ho già scritto un libro che si intitola Mandami una mail, e sto pensando di farne un altro A modo suo, in cui vorrei analizzare la chiamata vocazionale da un punto di vista delle virtù teologali. Soprattutto la Speranza, per dire ai ragazzi, che è nel Signore la mia Speranza.

E c’è poi da superare l’idea che non serve un metodo per il discernimento, che la chiarezza arriverà prima o poi. Io invece dico che bisogna fissare delle scadenze. Un po’ come si fa per un piano di studio. Bisogna essere concreti. A volte sacerdoti e suore non sanno essere concreti.”

Ma quale è il sistema migliore per iniziare un vero cammino?

“Sempre partire da una buona guida spirituale che sappia cosa fare. Io ho avuto la Grazia di poter organizzare un percorso con l’aiuto di molti miei confratelli, molto concreto.

In un accompagnamento spirituale la prima preoccupazione è imparare a pregare per capire cosa vuole dire il Signore, quindi Adorazione Eucaristica e Rosario, molto semplicemente, e vita sacramentale.

Per me poi è molto importante la conoscenza personale. E accompagno anche i ragazzi che hanno seguito la vocazione del matrimonio. Ho sposato molti di loro e li accompagno in un cammino cristiano. Ed ho un incontro mensile con le coppie che seguo. Del resto è da una famiglia cristiana che nascono belle vocazioni.”

Sul sito che padre Giuseppe gestisce con sensibilità e semplicità, ci sono anche le “pillole di discernimento”, i video, le testimonianze, i racconti, le proposte. Manca solo una frase che però padre Gamelli ama ricordare: “Ho fatto un contratto con Maria. Ho detto alla Madonna: io sono un asino che non sa far niente,  ma se arriviamo a 100 sacerdoti,  poi mi farò un po’ di Purgatorio, però poi mi fai uno sconto, mi mandi in Cielo perché avrò finito di lavorare.”
Il “metodo” è fatto proprio di slancio e fiducia.   


                      

GESÙ È IL BUON PASTORE CHE CI CHIAMA PER NOME

Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza». Il buon pastore chiama le sue pecore, ciascuna per nome. Non l'anonimato del gregge, ma nella sua bocca il mio nome proprio, il nome dell'affetto, dell'unicità, dell'intimità, pronunciato come nessun altro sa fare. Sa che il mio nome è «creatura che ha bisogno». Ad esso lui sa e vuole rispondere. E le conduce fuori. Il nostro non è un Dio dei recinti chiusi ma degli spazi aperti, pastore di libertà e di fiducia. E cammina davanti ad esse. Non un pastore di retroguardie, ma una guida che apre cammini e inventa strade, è davanti e non alle spalle. Non un pastore che pungola, incalza, rimprovera per farsi seguire ma uno che precede, e seduce con il suo andare, affascina con il suo esempio: pastore di futuro. Io sono la porta, Cristo è passaggio, apertura, porta spalancata che si apre sulla terra dell'amore leale, più forte della morte (chi entra attraverso di me si troverà in salvo); più forte di tutte le prigioni (potrà entrare e uscire), dove si placa tutta la fame e la sete della storia (troverà pascolo). E poi la conclusione: Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. Non solo la vita necessaria, non solo la vita indispensabile, non solo quel respiro, quel minimo senza il quale la vita non è vita, ma la vita esuberante, magnifica, eccessiva, vita che di rompe gli argini e sconfina, uno scialo di vita. Così è nella Bibbia: manna non per un giorno ma per quarant'anni nel deserto, pane per cinquemila persone, carezza per i bambini, pelle di primavera per dieci lebbrosi, pietra rotolata via per Lazzaro, cento fratelli per chi ha lasciato la casa, perdono per settanta volte sette, vaso di nardo per 300 denari sui piedi di Gesù In una piccola parola è sintetizzato ciò che oppone Gesù, il pastore vero, a tutti gli altri, ciò che rende incompatibili il pastore e il ladro. La parola immensa e breve è «vita». Cuore del Vangelo. Parola indimenticabile. Vocazione di Dio e vocazione dell'uomo. «Non ci interessa un divino che non faccia anche fiorire l'umano. Un Dio cui non corrisponda il rigoglio dell'umano non merita che ad esso ci dedichiamo». Pienezza dell'umano è il divino in noi, diventare figli di Dio: i quali non da sangue, non da carne, ma da Dio sono nati (cfr. Gv 1, 13). Diventare consapevoli di ciò che già siamo, figli, e non c'è parola che abbia più vita dentro; realizzarlo in pienezza. E questo significa diventare anch'io pastore di vita per il piccolo, per il pur minimo gregge (la mia famiglia, la mia comunità, gli amici, cento persone con nome e volto) che Lui ha affidato alle mie cure. Vocazione di Cristo e dell'uomo è di essere nella vita datori di vita. (Letture: Atti 2,14.36-41; Salmo 22; 1 Pietro 2,20b-25; Giovanni 10,1-10)


mercoledì 13 aprile 2016

PREGHIERA PER OTTENERE LO SPIRITO SANTO

Risultati immagini per spirito santo
Eterno Padre, in nome di Gesù Cristo
e per i meriti di Maria Vergine Immacolata
mandami lo Spirito Santo.

Vieni, Spirito Santo nel mio cuore e santificalo.
Vieni, Padre dei poveri, e sollevami.
Vieni, Autore d'ogni bene e consolami.
Vieni, Luce delle menti, e illuminami.
Vieni, Consolatore delle anime, e confortami.
Vieni, dolce Ospite dei cuori, e non partire da me.
Vieni, vero Refrigerio di mia vita, e ristorami.

Tre Gloria.

Spirito Santo, eterno Amore.
Vieni a noi coi tuoi ardori.
Vieni, infiamma i nostri cuori.


Eterno Padre, in nome di Gesù Cristo
e per i meriti di Maria Vergine Immacolata
mandami lo Spirito Santo.

Spirito Santo, Dio d'infinita carità dammi il tuo santo amore.
Spirito Santo, Dio delle virtù convertimi.
Spirito Santo, Fonte di celesti lumi dissipa la mia ignoranza.
Spirito Santo, Autore della vera pace, riposa nel mio cuore.
Spirito Santo, Dio d'infinita purezza, santifica l'anima mia.
Spirito Santo, Dio di ogni felicità comunicati al mio cuore.
Spirito Santo, Amore sostanziale del Padre e del Figliuolo,
fai dimora presso di me.

Tre Gloria.

Spirito Santo, eterno Amore.
Vieni a noi coi tuoi ardori.
Vieni, infiamma i nostri cuori.


Eterno Padre, in nome di Gesù Cristo
e per i meriti di Maria Vergine Immacolata
mandami lo Spirito Santo.

Vieni, Spirito Santo, e dammi il dono della Sapienza.
Vieni, Spirito Santo, e dammi il dono dell'Intelletto.
Vieni, Spirito Santo, e dammi il dono del Consiglio.
Vieni, Spirito Santo, e dammi il dono della Fortezza.
Vieni, Spirito Santo, e dammi il dono della Scienza.
Vieni, Spirito Santo, e dammi il dono della Pietà.
Vieni, Spirito Santo, e dammi il dono del Santo Timore di Dio.

Tre Gloria.

Spirito Santo, eterno Amore.
Vieni a noi coi tuoi ardori.
Vieni, infiamma i nostri cuori.

O SPIRITO SANTO, ANIMA DELL’ANIMA MIA,
IO TI AODRO, ILLUMINAMI, GUIDAMI,
FORTIFICAMI, CONSOLAMI, INSEGNAMI
CIO’ CHE DEVO FARE, DAMMI I TUOI ORDINI.
TI PROMETTO DI SOTTOMETTERMI
A TUTTO CIO’ CHE PERMETTERAI MI ACCADA:
FAMMI SOLO CONOSCERE LA TUA VOLONTA’.



La fede nasce dall’incontro con Dio che ci chiama

La fede in Dio che è Amore è la fonte da cui solo può scaturire la luce e la forza per ogni risposta che la quotidianità pone sul nostro cammino verso la Vita vera. 
La fede deriva dalla fiducia nella persona in cui si confida; e questo di nuovo dipende dalla conoscenza che si ha di questa persona stessa. In questo senso la fede può essere grande o piccola, debole o forte. Alcuni credenti non arrivano neppure ad avere fiducia che Dio possa provvedere ad un loro pasto; altri possono guardare a Lui, senza titubare, perché Egli nutra mille bocche affamate o converta mille peccatori. La nostra fede, in questo senso, dipende interamente dalla nostra conoscenza di Dio e dalla nostra comunione con Lui.
La fede è generata da Dio, ossia dal Padre (Rom. 12:3), dal Figlio, Gesù (Ebr. 12:2) e dallo Spirito Santo (1 Cor. 12:4,8,9). La fede è dunque ottenuta quale risultato della potenza e dell'opera di grazia di Dio.
La fede nasce nell'uomo ascoltando la Parola di Dio e serbandola nel cuore (Rom. 10:17).
Avere fede significa credere alla testimonianza di Dio con la stessa semplicità e certezza con cui prestiamo fede alla parola di nostro padre o di un nostro caro amico: « Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è maggiore » (1 Giov. 5:9).

mercoledì 6 aprile 2016

Messaggio del Papa per le vocazioni


Cari fratelli e sorelle,

come vorrei che, nel corso del Giubileo Straordinario della Misericordia, tutti i battezzati potessero sperimentare la gioia di appartenere alla Chiesa! E potessero riscoprire che la vocazione cristiana, così come le vocazioni particolari, nascono in seno al popolo di Dio e sono doni della divina misericordia. La Chiesa è la casa della misericordia, ed è la “terra” dove la vocazione germoglia, cresce e porta frutto.

Per questo motivo invito tutti voi, in occasione di questa 53ª Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, a contemplare la comunità apostolica, e a ringraziare per il ruolo della comunità nel cammino vocazionale di ciascuno. Nella Bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia ho ricordato le parole di san Beda il Venerabile, riferite alla vocazione di san Matteo: «Miserando atque eligendo» (Misericordiae Vultus, 8). L’azione misericordiosa del Signore perdona i nostri peccati e ci apre alla vita nuova che si concretizza nella chiamata alla sequela e alla missione. Ogni vocazione nella Chiesa ha la sua origine nello sguardo compassionevole di Gesù. La conversione e la vocazione sono come due facce della stessa medaglia e si richiamano continuamente in tutta la vita del discepolo missionario.

Il beato Paolo VI, nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, ha descritto i passi del processo dell’evangelizzazione. Uno di essi è l’adesione alla comunità cristiana (cfr n. 23), quella comunità da cui ha ricevuto la testimonianza della fede e la proclamazione esplicita della misericordia del Signore. Questa incorporazione comunitaria comprende tutta la ricchezza della vita ecclesiale, particolarmente i Sacramenti. E la Chiesa non è solo un luogo in cui si crede, ma è anche oggetto della nostra fede; per questo nelCredo diciamo: «Credo la Chiesa».

La chiamata di Dio avviene attraverso la mediazione comunitaria. Dio ci chiama a far parte della Chiesa e, dopo una certa maturazione in essa, ci dona una vocazione specifica. Il cammino vocazionale si fa insieme ai fratelli e alle sorelle che il Signore ci dona: è una con-vocazione. Il dinamismo ecclesiale della chiamata è un antidoto all’indifferenza e all’individualismo. Stabilisce quella comunione nella quale l’indifferenza è stata vinta dall’amore, perché esige che noi usciamo da noi stessi ponendo la nostra esistenza al servizio del disegno di Dio e facendo nostra la situazione storica del suo popolo santo.

In questa Giornata, dedicata alla preghiera per le vocazioni, desidero esortare tutti i fedeli ad assumersi le loro responsabilità nella cura e nel discernimento vocazionale. Quando gli apostoli cercavano uno che prendesse il posto di Giuda Iscariota, san Pietro radunò centoventi fratelli (cfr At 1,15); e per la scelta dei sette diaconi, fu convocato il gruppo dei discepoli (cfr At 6,2). San Paolo dà a Tito criteri specifici per la scelta dei presbiteri (Tt 1,5-9). Anche oggi, la comunità cristiana è sempre presente nel germogliare delle vocazioni, nella loro formazione e nella loro perseveranza (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 107).

La vocazione nasce nella Chiesa. Fin dal sorgere di una vocazione è necessario un adeguato “senso” della Chiesa. Nessuno è chiamato esclusivamente per una determinata regione, né per un gruppo o movimento ecclesiale, ma per la Chiesa e per il mondo. «Un chiaro segno dell’autenticità di un carisma è la sua ecclesialità, la sua capacità di integrarsi armonicamente nella vita del Popolo santo di Dio per il bene di tutti» (ibid.,130). Rispondendo alla chiamata di Dio, il giovane vede espandersi il proprio orizzonte ecclesiale, può considerare i molteplici carismi e compiere così un discernimento più obiettivo. La comunità diventa, in questo modo, la casa e la famiglia dove nasce la vocazione. Il candidato contempla grato questa mediazione comunitaria come elemento irrinunciabile per il suo futuro. Impara a conoscere e amare fratelli e sorelle che percorrono cammini diversi dal suo; e questi vincoli rafforzano in tutti la comunione.

La vocazione cresce nella Chiesa. Durante il processo di formazione, i candidati alle diverse vocazioni hanno bisogno di conoscere sempre meglio la comunità ecclesiale, superando la visione limitata che tutti abbiamo all’inizio. A tale scopo è opportuno fare qualche esperienza apostolica insieme ad altri membri della comunità, per esempio: accanto ad un buon catechista comunicare il messaggio cristiano; sperimentare l’evangelizzazione delle periferie insieme ad una comunità religiosa; scoprire il tesoro della contemplazione condividendo la vita di clausura; conoscere meglio la missione ad gentes a contatto con i missionari; e con i preti diocesani approfondire l’esperienza della pastorale nella parrocchia e nella diocesi. Per quelli che sono già in formazione, la comunità ecclesiale rimane sempre l’ambito educativo fondamentale, verso cui si sente gratitudine.

La vocazione è sostenuta dalla Chiesa. Dopo l’impegno definitivo, il cammino vocazionale nella Chiesa non finisce, ma continua nella disponibilità al servizio, nella perseveranza, nella formazione permanente. Chi ha consacrato la propria vita al Signore è disposto a servire la Chiesa dove essa ne abbia bisogno. La missione di Paolo e Barnaba è un esempio di questa disponibilità ecclesiale. Inviati in missione dallo Spirito Santo e dalla comunità di Antiochia (cfr At 13,1-4), ritornarono alla stessa comunità e raccontarono quello che il Signore aveva fatto per mezzo loro (cfr At 14,27). I missionari sono accompagnati e sostenuti dalla comunità cristiana, che rimane un riferimento vitale, come la patria visibile che offre sicurezza a quelli che compiono il pellegrinaggio verso la vita eterna.

Tra gli operatori pastorali rivestono una particolare importanza i sacerdoti. Mediante il loro ministero si fa presente la parola di Gesù, che ha detto: «Io sono la porta delle pecore […] Io sono il buon pastore»(Gv 10,7.11). La cura pastorale delle vocazioni è una parte fondamentale del loro ministero pastorale. I sacerdoti accompagnano coloro che sono alla ricerca della propria vocazione, come pure quanti già hanno offerto la vita al servizio di Dio e della comunità.

Tutti i fedeli sono chiamati a rendersi consapevoli del dinamismo ecclesiale della vocazione, perché le comunità di fede possano diventare, sull’esempio della Vergine Maria, seno materno che accoglie il dono dello Spirito Santo (cfr Lc 1,35-38). La maternità della Chiesa si esprime mediante la preghiera perseverante per le vocazioni e con l’azione educativa e di accompagnamento per quanti percepiscono la chiamata di Dio. Lo fa anche mediante un’accurata selezione dei candidati al ministero ordinato e alla vita consacrata. Infine, è madre delle vocazioni nel continuo sostegno di coloro che hanno consacrato la vita al servizio degli altri.

Chiediamo al Signore di concedere a tutte le persone che stanno compiendo un cammino vocazionale una profonda adesione alla Chiesa; e che lo Spirito Santo rafforzi nei Pastori e in tutti i fedeli la comunione, il discernimento e la paternità e maternità spirituale.

Padre di misericordia, che hai donato il tuo Figlio per la nostra salvezza e sempre ci sostieni con i doni del tuo Spirito, concedici comunità cristiane vive, ferventi e gioiose, che siano fonti di vita fraterna e suscitino fra i giovani il desiderio di consacrarsi a Te e all’evangelizzazione. Sostienile nel loro impegno di proporre una adeguata catechesi vocazionale e cammini di speciale consacrazione. Dona sapienza per il necessario discernimento vocazionale, così che in tutto risplenda la grandezza del tuo amore misericordioso. Maria, Madre ed educatrice di Gesù, interceda per ogni comunità cristiana, affinché, resa feconda dallo Spirito Santo, sia fonte di genuine vocazioni al servizio del popolo santo di Dio.