Blog Religioso

Questo blog è rivolto a tutti quelli che hanno fame e sete di Dio



mercoledì 9 marzo 2016

Imitare San Giuseppe

Per onorare un Santo non basta pregarlo, bisogna imitarlo, imitare le sue virtù. Dopo la Madonna, S. Giuseppe ebbe tutte le virtù in grado sommo e conserva il deposito di tutte le virtù. Fu per questo il più idoneo all'ufficio altissimo di custode di Gesù e di Maria. Quindi tutte le virtù sono nelle sue mani, come nelle mani dalla Madonna sono tutte le grazie.

Ve lo propongo in particolare come modello di vita interiore. La sua vita fu, infatti, tutta interiore, ed è perciò protettore particolare delle anime Religiose. Come tale, S. Francesco di Sales lo propose alle Visitandine (1074) mentre nella Filotea lo propone come maestro di vita interiore a tutte le anime pie (1075). Chi non sa pregare, chi non sa meditare, chi non sa raccogliersi, si raccomandi a lui. In Missione avrete da fare una vita piuttosto varia e dissipante di sua natura; bisogna perciò unirla a S. Giuseppe che, in mezzo a tutte le sue opere esterne, rimase sempre unito a Gesù e a Maria.

Imitiamolo nell'umiltà, ché di superbia ne abbiamo tutti, specialmente quelli che credono di non averne. S. Giuseppe fu umile. Discendente di stirpe regia, visse povero nel mestiere di falegname, guadagnandosi il pane col sudore della fronte. Osservate, inoltre, come nel Vangelo non si trovi neppure una parola detta da

S. Giuseppe.

Imitiamolo nella vita nascosta e laboriosa. Non si legge che in vita abbia fatto miracoli. Quando non c'era pane, credete che venisse ogni volta un Angelo a portarlo? No, lavorava, e col provento del suo lavoro, si manteneva. Il Signore lo condusse per la via co­mune del lavoro, del nascondimento, del sacrificio. Egli però lavorava con spirito.

S. Giuseppe metteva tutta la sua cura nella custo­dia di Nostro Signore e della Madonna, e noi dob­biamo avere la stessa cura dell'onore di Dio. L'ab­biamo questo interessamento, questo affetto, questa cura singolare di Gesù Sacramentato, mentre tutta la nostra vita si svolge attorno a Gesù Eucaristico?

S. Giuseppe cercava in tutti i modi di rendere con­tenti Gesù e Maria, e noi dovremmo sempre far tutto per il solo scopo di piacere a loro. Tutto per la glo­ria di Dio.

Chiediamo ancora a S. Giuseppe la vera devozione alla Madonna e l'amore alla castità. Certo doveva essere castissimo, se il Divin Padre gli affidò la cu­stodia di Gesù e di Maria! Chi è devoto di S. Giuseppe, conserverà certamente illibata questa preziosa virtù.

Si legge di un Padre della Compagnia di Gesù che un giorno incontrò un povero uomo di campagna, rozzo sì ma molto avanti nelle cose spirituali, e l'interrogò dove avesse attinto tanta scienza di Dio. Gli rispose: «Non ho avuto alcun maestro all'infuori di S. Giu­seppe, che invoco e che mi ispira ».

San Giuseppe il carpentiere

Nella sua straordinaria vita interiore Giuseppe ha maturato quell'equilibrio straordinario che ne fa sintesi perfetta di chi lavora con il cuore in Dio.

Patrono dei lavoratori, dunque, ma anche patrono del "modo di lavorare".

Non per il profitto ma per collaborare con Dio al bene della creazione, sempre con lo sguardo rivolto verso il Padre.

Possiamo immaginare che proprio nei tanti anni di vita nascosta Gesù abbia imparato da Giuseppe suo padre l'arte meravigliosa del lavoro con il cuore unito interiormente a Dio.

Certamente è ben di più ciò che Gesù ha donato, anche umanamente a Maria e a Giuseppe. Tuttavia, il Padre, che rispetta l'umanità che Egli ha creato avrà sicuramente permesso un mutuo donarsi di competenze, sensibilità e grazia in questa famiglia semplice fatta di amore, preghiera e lavoro.

In questo equilibrio nello Spirito dell'uomo Giuseppe sta lo stimolo nell'essere anche noi, laici e sacerdoti, lavoratori umili nella "vigna del Signore"; così come suggerisce ed esorta il Papa Benedetto XVI.

Giuseppe un esempio di giustizia

Nel caotico presentarsi di coppie omosessuali che chiedono diritti familiari o di adozione; nei problemi di confusione etica e bioetica Giuseppe si pone come l'uomo "giusto" che custodisce l'uomo e la Chiesa; si pone come custode di ogni famiglia.

Si pone come colui che spezza le "isterie" collettive e personali, adolescenziali e narcisistiche davanti al mistero della vita, proprio perché è l'uomo "giusto".

Colui che Dio ha scelto per custodire la Sacra Famiglia e dunque anche la famiglia umana dagli attacchi non infrequenti del nemico dell'uomo.

Per tal motivo Giuseppe è anche faro, stimolo e custode dei sacerdoti, dei Vescovi e del Santo Padre in quanto portatori di paternità nello Spirito.

Costantemente va richiesta la sua preziosa mediazione perché i padri, tutti i padri, quelli nella carne e i vergini, sappiano esercitare la paternità con la stessa giustizia amorosa e ferma di questo uomo straordinario che ha amato radicalmente l'umanità in Maria, sua sposa, e in Gesù Figlio di Dio.

San Giuseppe padre putativo di Gesù

Il piccolo Gesù ha imparato ad essere uomo e anche noi con l'aiuto di San Giuseppe uomo giusto e della Beata Vergine Maria siamo chiamati ad imparare il senso della paternità e dell'essere uomini.


Se Maria è specchio della "maternità generante di Dio", Giuseppe, l'uomo giusto è segno della "paternità feconda, ferma e amorevole del Padre". Nei nostri tempi malati di un "femminismo" che ha deformato il senso del femminile e del maschile.

In tempi che, untuosi di "accoglienza" senza amore e giustizia, di livellamento di valori, di cattolici "adulti", di smarrimento del senso di "responsabilità", di cattolici "progressisti" e di teologi e laici del "dissenso" la figura di San Giuseppe è fondamentale per la riacquisizione, secondo il cuore del Padre, del senso profondo della "mascolinità", e della paternità.

Urge dunque un arricchimento pastorale nella devozione popolare che chieda a Cristo, costantemente, anche per l'intercessione di San Giuseppe, l'uomo "giusto", una guarigione profonda dell'uomo sia come "padre" che come portatore del lato maschile così necessario oggi.

martedì 8 marzo 2016

Come si fa a meditare la Parola di Dio


Vi propongo un impegno quotidiano: la lettura e la meditazione della liturgia del giorno.


E' raccomandabile dedicare a questa attività interiore almeno un'ora.


Come si fa?

Risultati immagini per VangeloDopo la lettura intera della liturgia del giorno si sceglie un brano biblico. Di seguito si fa la risonanza biblica, che consiste nel rileggere il testo per ascoltarlo. Di seguito si cerca di porre la propria attenzione sulle frasi che più colpiscono, al fine di interiorizzarle, farle risuonare nell'anima e farle oggetto di preghiera e contemplazione. Infine, si raccolgono i frutti spirituali della meditazione, che possono essere di vario tipo e riguardare la vita personale di ciascuno. Sono ad esempio: preghiere del cuore, decisioni, riflessioni, attualizzazioni della Parola, espressioni dell'essere, domande esistenziali, ecc.

La fonte web dei testi Vangelo del giorno


L'attività spirituale proposta si basa sulla pratica di lettura della Bibbia, diffusa nella chiesa cattolica, attraverso il metodo della Lectio Divina e ne ripropone le fasi principali. 
La lectio divina è lettura riflessiva e ascolto orante – da soli o in gruppo – di un passo della Bibbia, accolta come Parola di Dio. Con la guida dello Spirito Santo, nell’esperienza di meditazione e silenzio, di contemplazione e condivisione, la Parola diventa sorgente di grazia, dialogo orante, appello alla conversione, proposta profetica e orizzonte di speranza. 
"Lectio Divina" significa "lettura divina" e descrive il modo di leggere la Sacra Scrittura: allontanarsi gradualmente dai propri schemi e aprirsi a ciò che Dio vuole dirci. Nel secolo XII, un monaco Certosino, chiamato Guigo, descrisse le tappe più importanti della "lettura divina". La pratica individuale o in gruppo della Lectio Divina può assumere diverse forme ma la descrizione di Guigo rimane sempre fondamentale

Riferimento biblico:
Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno». Mt 13,23

lunedì 7 marzo 2016

Imparare a pregare e ad ascoltare

Il nostro entrare più deciso nella vita interiore suscitano in noi il desiderio di pregare. L'esperienza di ascolto e di sguardo interiore ci invitato a cambiare prospettiva, quando consideriamo la situazione della Chiesa nella società attuale e la propria esistenza. È nel più profondo della nostra interiorità, là dove ciascuno di noi sperimenta di essere un dono per gli altri e orienta la sua vita nelle vie del Signore, lì che nasce il gusto di rivolgersi a Dio.
Ma di nuovo un sentimento di smarrimento può afferrarci: come rivolgerci direttamente a Dio? Anche i racconti evangelici e Paolo conoscono questo interrogativo. L'apostolo ne parla nella Lettera ai Romani: «Non sappiamo infatti come pregare» (Rm 8,26); e Luca mette sulla bocca dei discepoli la richiesta: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1). Ma secondo il Vangelo di Matteo, è Gesù stesso a invitarli alla semplicità, addirittura alla moderazione: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate» (Mt 6,7-8).
Questo breve passo ci indica infatti l'essenziale: il cambiamento di prospettiva che implica la preghiera o l'inversione dello sguardo. Colui che si mette a pregare è invitato a diventare «colui che guarda essendo guardato» (Filone), a esporsi allo sguardo del Padre «che vede nel secreto» (Mt 6,4.6.18), ad aprirsi a questo sguardo – «evangelico», come abbiamo detto più volte – di una bontà radicale e sempre nuova. Rileviamo tre aspetti o fasi del piccolo tirocinio della preghiera che si può intraprendere a partire da questo punto essenziale.
1. Pregare vuol dire prima di tutto apprendere – e riapprendere continuamente – che l'ascolto precede la parola. Il silenzio riceve allora un valore nuovo. Non interrompe soltanto i miei discorsi; non mi rimanda più all'assenza angosciante di un faccia a faccia. Mi avvolge ed entra in comunicazione con me, carico di un «sì» silenzioso... «poiché tutte le promesse di Dio sono "sì" in Gesù Cristo» (2Cor 1,20). Come si è mostrato fin dal primo capitolo, questo silenzioso «sì» mi consente finalmente di ascoltare le «voci» di coloro che mi circondano e di distinguere la «voce» propria di Dio: il «sì» rivolto a me, che mi chiama per nome e mi fa dire «eccomi». A questo punto posso osare delle parole semplici e sussurrare: «Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano» (Lc 11,2-3).

2. I discepoli hanno appreso queste parole dalla bocca stessa di Gesù dopo averlo visto pregare (Lc 11,1). Una seconda fase consiste proprio nel guadarlo, lui, e nel guardarlo pregare; prospettiva nuova preparata forse dal fatto che un giorno una comunità, una folla o una persona in preghiera silenziosa mi ha profondamente toccato. Lo sguardo su Gesù che prega può affinarsi se mettiamo in luce, nei racconti evangelici, l'importanza decisiva del suo ritirarsi nel deserto, sulla montagna, nel giardino, ecc. e se ci interroghiamo sulla sua vita interiore. Il passaggio decisivo di ogni preghiera cristiana avviene infatti quando l'orante entra nella preghiera stessa di Gesù o meglio scopre che è già in questa preghiera, che in essa il suo posto è unico, perché Cristo non ha cessato, durante la sua vita terrena, e non cessa mai, di intercedere per tutti gli uomini. Rendersi conto che prega per noi e per me vuol dire imparare a spossessarsi della propria preghiera, dandole nello stesso tempo una forma nuova, senza dubbio più semplice e più «abbandonata in lui».

3. Per quanto riguarda la forma di questa preghiera – ultima fase – essa si basa su due fondamenti. La consapevolezza che noi esistiamo nella preghiera di Gesù e, senza dubbio, in quella di tanti altri ci fa accedere alla preghiera liturgica e alla nostra responsabilità di fare esistere altri all'interno della nostra preghiera. I salmi e i cantici dell'Antico e del Nuovo Testamento e molte altre preghiere sono come la traccia di una comunità universale di preghiera, la cui ospitalità ci è offerta quando vi entriamo dentro ripetendo quelle parole e facendole nostre. Ma nello stesso tempo – l'altro fondamento – questa preghiera collettiva ci accoglie per rimandarci di nuovo alla nostra preghiera personale, del tutto insostituibile. La preghiera personale si inserisce nei silenzi liturgici e si prolunga nella vita quotidiana, dove prende, più o meno consciamente, il respiro fondamentale della nostra esistenza: in modo inarticolato, si manifesta nei miei lamenti e nelle mie gioie quotidiane, si esprime quando chiedo a Dio il necessario e rendo grazie per quel che ricevo giorno dopo giorno, culmina nella lode disinteressata per colui che continua a dare se stesso all'umanità...
Non essendo lo scopo di questo libro il proporre una vera e propria scuola di preghiera, queste brevi indicazioni dovrebbero bastare per andare avanti sul cammino di una più grande interiorità.

Fare il punto della situazione

A che punto sto con me stesso, con gli altri, con Dio? Per prenderne coscienza due condizioni elementari sono già state evocate nei post precedenti: creare uno spazio di solitudine o di silenzio e «sedersi» una buona volta – o forse sarà camminando solo – per rileggere la propria storia, ciò che è accaduto negli ultimi tempi, negli ultimi anni... Davanti al mio sguardo interiore, passo in rassegna le mie relazioni, i luoghi frequentati o abitati, le mie attività e impegni, gli avvenimenti importanti e così via. Niente di particolarmente profondo! Ma un semplice lavoro della memoria, dove una cosa ne suggerisce un'altra, fino a formare una «trama» che indica il punto in cui mi trovo, oggi, con la mia storia.
Coloro che hanno preso l'abitudine di fare questo piccolo esercizio in modo regolare dicono di averne tratto gran profitto. Ma si può esserne refrattari, averne paura e temere che non accada nulla. Devo dirmelo una volta per tutte: non si tratta di martellarmi la testa e ancor meno di rimuginare il passato, di impantanarmi di nuovo..., ma di identificare concretamente come Dio si rende presente nella mia vita, ciò che lui ha già fatto in me e come lui continua il suo lavoro discreto e così infinitamente rispettoso. In breve, l'obiettivo è stupirsi, lasciarsi sorprendere, anche se la giornata è stata faticosa o se il momento che sto vivendo mi sembra complicato. Ma questo non è possibile se non accetto di essere presente a me stesso, almeno per un po' di tempo, e di mettermi alla presenza di colui che fa sentire dentro di me il suo «tu puoi...» e che mi chiama per nome. Spetta a ciascuno trovare il proprio ritmo per isolarsi e adattare alle proprie condizioni di vita questo «mettersi alla presenza», per identificare in modo più preciso le strade di Dio in lui.
Ricordando allora altri momenti felici di presenza a sé e di presenza più concreta di Dio nella sua vita, il lettore sentirà forse affiorare in lui il desiderio di andare più lontano, di mettere maggior verità nella sua vita, di lasciarsi guidare più liberamente dalla bussola interiore di cui si è trattato nel secondo capitolo e di accordare maggior consistenza a Dio nella sua vita. Quando questo desiderio si presenta, e si presenta a diverse riprese al punto da cominciare a iscriversi in tutte le piccole decisioni quotidiane, allora la questione dell'orientamento che voglio dare alla mia vita può porsi in condizioni favorevoli.