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lunedì 7 marzo 2016

Imparare a pregare e ad ascoltare

Il nostro entrare più deciso nella vita interiore suscitano in noi il desiderio di pregare. L'esperienza di ascolto e di sguardo interiore ci invitato a cambiare prospettiva, quando consideriamo la situazione della Chiesa nella società attuale e la propria esistenza. È nel più profondo della nostra interiorità, là dove ciascuno di noi sperimenta di essere un dono per gli altri e orienta la sua vita nelle vie del Signore, lì che nasce il gusto di rivolgersi a Dio.
Ma di nuovo un sentimento di smarrimento può afferrarci: come rivolgerci direttamente a Dio? Anche i racconti evangelici e Paolo conoscono questo interrogativo. L'apostolo ne parla nella Lettera ai Romani: «Non sappiamo infatti come pregare» (Rm 8,26); e Luca mette sulla bocca dei discepoli la richiesta: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1). Ma secondo il Vangelo di Matteo, è Gesù stesso a invitarli alla semplicità, addirittura alla moderazione: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate» (Mt 6,7-8).
Questo breve passo ci indica infatti l'essenziale: il cambiamento di prospettiva che implica la preghiera o l'inversione dello sguardo. Colui che si mette a pregare è invitato a diventare «colui che guarda essendo guardato» (Filone), a esporsi allo sguardo del Padre «che vede nel secreto» (Mt 6,4.6.18), ad aprirsi a questo sguardo – «evangelico», come abbiamo detto più volte – di una bontà radicale e sempre nuova. Rileviamo tre aspetti o fasi del piccolo tirocinio della preghiera che si può intraprendere a partire da questo punto essenziale.
1. Pregare vuol dire prima di tutto apprendere – e riapprendere continuamente – che l'ascolto precede la parola. Il silenzio riceve allora un valore nuovo. Non interrompe soltanto i miei discorsi; non mi rimanda più all'assenza angosciante di un faccia a faccia. Mi avvolge ed entra in comunicazione con me, carico di un «sì» silenzioso... «poiché tutte le promesse di Dio sono "sì" in Gesù Cristo» (2Cor 1,20). Come si è mostrato fin dal primo capitolo, questo silenzioso «sì» mi consente finalmente di ascoltare le «voci» di coloro che mi circondano e di distinguere la «voce» propria di Dio: il «sì» rivolto a me, che mi chiama per nome e mi fa dire «eccomi». A questo punto posso osare delle parole semplici e sussurrare: «Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano» (Lc 11,2-3).

2. I discepoli hanno appreso queste parole dalla bocca stessa di Gesù dopo averlo visto pregare (Lc 11,1). Una seconda fase consiste proprio nel guadarlo, lui, e nel guardarlo pregare; prospettiva nuova preparata forse dal fatto che un giorno una comunità, una folla o una persona in preghiera silenziosa mi ha profondamente toccato. Lo sguardo su Gesù che prega può affinarsi se mettiamo in luce, nei racconti evangelici, l'importanza decisiva del suo ritirarsi nel deserto, sulla montagna, nel giardino, ecc. e se ci interroghiamo sulla sua vita interiore. Il passaggio decisivo di ogni preghiera cristiana avviene infatti quando l'orante entra nella preghiera stessa di Gesù o meglio scopre che è già in questa preghiera, che in essa il suo posto è unico, perché Cristo non ha cessato, durante la sua vita terrena, e non cessa mai, di intercedere per tutti gli uomini. Rendersi conto che prega per noi e per me vuol dire imparare a spossessarsi della propria preghiera, dandole nello stesso tempo una forma nuova, senza dubbio più semplice e più «abbandonata in lui».

3. Per quanto riguarda la forma di questa preghiera – ultima fase – essa si basa su due fondamenti. La consapevolezza che noi esistiamo nella preghiera di Gesù e, senza dubbio, in quella di tanti altri ci fa accedere alla preghiera liturgica e alla nostra responsabilità di fare esistere altri all'interno della nostra preghiera. I salmi e i cantici dell'Antico e del Nuovo Testamento e molte altre preghiere sono come la traccia di una comunità universale di preghiera, la cui ospitalità ci è offerta quando vi entriamo dentro ripetendo quelle parole e facendole nostre. Ma nello stesso tempo – l'altro fondamento – questa preghiera collettiva ci accoglie per rimandarci di nuovo alla nostra preghiera personale, del tutto insostituibile. La preghiera personale si inserisce nei silenzi liturgici e si prolunga nella vita quotidiana, dove prende, più o meno consciamente, il respiro fondamentale della nostra esistenza: in modo inarticolato, si manifesta nei miei lamenti e nelle mie gioie quotidiane, si esprime quando chiedo a Dio il necessario e rendo grazie per quel che ricevo giorno dopo giorno, culmina nella lode disinteressata per colui che continua a dare se stesso all'umanità...
Non essendo lo scopo di questo libro il proporre una vera e propria scuola di preghiera, queste brevi indicazioni dovrebbero bastare per andare avanti sul cammino di una più grande interiorità.

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